di Armando Staffa
Aveva provato a convincerlo in ogni maniera, ma non c’era riuscito. Pensare che un tempo erano stati amici e avevano combattuto, fianco a fianco, in tante battaglie. Più di una volta si erano salvati la vita a vicenda e si erano tanto stimati da stipulare un patto d’onore…”se uno dei due dovesse morire, l’altro, a costo della propria vita, ne riporterà a casa, le spoglie, per celebrarne gli onori”. Erano però tornati entrambi, sani e salvi, e gli onori gli erano stati tributati con tutti i crismi.
Giovani, belli e fieri nell’aspetto, erano contesi dalle donne più belle dei due reami. Le loro vite potevano definirsi parallele… la stessa età , entrambi principi di reami tranquilli e potenti, stesse vicissitudini, stessi onori… un’unica differenza: Emeren di carnagione scura e con i capelli neri era l’esatto opposto del suo amico fraterno, chiarissimo di pelle e con i capelli di un biondo così candido da farli apparire quasi bianchi.
Nei tornei avevano sbaragliato tutti e più di una volta, partecipando contemporaneamente, erano stati dichiarati vincitori alla pari. Era uno spettacolo vederli sfilare davanti alla passerella sui loro destrieri.
Giostre, feste, scampagnate ma anche scorribande, nei vicini e meno potenti reami, erano stati il loro pane quotidiano fino alla morte, quasi contemporanea, dei rispettivi padri.
Era toccato poi a loro diventare Re. Ognuno aveva partecipato all’incoronazione dell’altro riaffermando, con doni e discorsi affettuosi l’amicizia, che sarebbe durata per l’eternità.
E poi era venuto il tempo di scegliere una moglie… perché un Re senza Regina, agli occhi del popolo, è destinato a non avere eredi, se non dei bastardi, e quindi, non dovendo lasciar nulla di proprio a dei discendenti legittimi, non si interesserebbe né del proprio Regno né, tantomeno, dei suoi abitanti… sarebbe un Re poco amato e prima o poi qualcuno tenterebbe di farlo fuori.
E fu così che i rispettivi Consiglieri avevano suggerito ad entrambi il grande passo.
Non c’era stata alcuna rivalità tra i due. Le dame che li desideravano erano tante e tutte belle. Fu così che, dopo aver partecipato al matrimonio del suo amico, Emeren aveva preso in moglie Gilda, una bruna caliente, che aveva nobile sangue gitano nelle vene.
Ne era seguita una festa di una sontuosità mai vista prima. Danze, tavolate, tornei e ancora giocolieri e maghi, con i loro riti orientali ad inondare di incensi gli invitati provenienti da più di venti paesi diversi.
Era durata un’intera settimana… ma non era finita bene. Non che se ne fosse accorto qualcuno ma, tra i due Re, c’era stata una spiacevole discussione. Non erano stati i due ad innescarla…ah, quando si dice che le donne ne sanno una più del diavolo?!
Emeren era stato rimproverato dall’amico di aver fatto una festa più lunga e di maggior fasto della sua e che il fatto, agli occhi dei villici, sarebbe apparso come un’affermazione di superiorità.
Emeren, pensando ad uno scherzo, aveva semplicemente risposto sorridendo “Beh, ognuno fa quello che può!” ed era tornato ai suoi ospiti.
“Ecco, come avevo ben pensato!” si era intromessa la Regina ospite, aizzando ancora più il marito che si era sentito, a quel punto, ferito nell’onore agli occhi della giovane moglie, che si doveva essere lamentata con lui per scarsezza della festa del proprio matrimonio.
Fatto sta che i due, senza dire null’altro, avevano girato i tacchi e, in un batter d’occhio, insieme ad un esercito di cavalieri, armieri e servitù con cavalli, portantine e cocchi avevano abbandonato il castello, insalutati ospiti.
Emeren era troppo preso dai canti, dai balli e dall’alcol per dar peso, in quel momento, a quel voltafaccia così tanto eclatante da sembrare una goliardata.
La settimana successiva, però, aveva preso il cavallo e, con solo due fidi cavalieri, aveva viaggiato per cinque giorni fino a raggiungere il castello dell’amico, per chiedere spiegazione e chiarire…. se c’era qualcosa da chiarire.
Ma il ponte levatoio era rimasto alzato, nonostante Emeren chiamasse a gran voce il suo amico, chiedendogli cosa avesse fatto di male e offrendo le sue scuse incondizionate.
Gli era stato risposto dagli spalti che il Re non voleva più parlargli perché da quel momento non erano più amici.
“Ma come? Siamo stati amici per una vita! Ed ora?… ora non siamo più amici ?… Ma perché?”
Il suo grido si era perso nella valle prospiciente il castello.
Sette giorni dopo, una delegazione, che portava le insegne di chi è solo ambasciatore, aveva comunicato ufficialmente la dichiarazione di guerra.
Ora erano lì sulla pianura, aldilà del fiume. A nulla erano valsi i messaggi che aveva fatto giungere attraverso amici comuni. La risposta era stata sempre la stessa “Questa volta non c’è nulla da fare!. O lui o io”.
Li guardava, dall’alto, rammaricato. Per un attimo aveva avuto anche l’impressione che fosse uno scherzo ben organizzato… una dimostrazione di forza… che il suo amico fosse lì a ribadire chi dei due fosse il più forte ma che poi, dopo una solenne risata se ne sarebbe andato… e invece, all’improvviso, un urlo ruppe il silenzio e la fanteria, proprio quella davanti al Re, si lanciò verso il castello. Lui era li’, impavido e immobile, affiancato dalla sua perfida Regina, entrambi su due cavalli bianchi che scalpitavano, impauriti dalle urla dei guerrieri.
Emeren li guardò per l’ultima volta poi abbassò la celata dell’elmo e scese dalla torre per coordinare la difesa.
Attacchi improvvisi e ritirate veloci si susseguirono per circa un’ora. Ma l’attacco era massiccio… da tutte le parti. Li vide entrare nella piazzaforte.. i suoi più fedeli riuscirono con un abile azione a disarcionare e catturare la Regina.
Emeren scese dagli spalti e fece cenno ai suoi di non farle del male. Incrociò con lo sguardo gli occhi furiosi del suo amico che tratteneva il cavallo che si impennava scalciando. Improvvisamente, dalle stalle, comparve come una forsennata Gilda, impugnando il coltello tipico della sua gente. Saltò sul cavallo alle spalle del Re e l’avrebbe sgozzato se Emeren non le avesse afferrato il braccio. La tirò giù dal cavallo del suo avversario e, senza dire nulla, indietreggiò, ritirandosi nella torre.. il suo amico avrebbe certamente capito quel suo gesto cavalleresco… Emeren aveva fatto una scelta, in nome della vecchia amicizia aveva risparmiato lui e la sua Regina… sì, era sicuro, si sarebbe ritirato. Insieme a Gilda sentì per un po’ ancora urla e tafferugli, all’esterno… poi silenzio. Si affacciò… grande fu il suo stupore…il suo amico non aveva voluto capire. Non aveva fatto la sua stessa scelta… anzi aveva approfittato della sua debolezza…la lotta era continuata ed ora la torre era circondata dalla cavalleria. La battaglia era persa. Emeren non poteva più muoversi… non aveva più via di scampo.
Dall’alto una voce roboante dichiarò “Scacco matto”… Tutti i pezzi furono risistemati sulla scacchiera.